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Ricordo il 7 Marzo 2020 come se fosse ieri. Era un sabato come tutti gli altri, ma noi non sapevamo che da lì a poco le nostre vite sarebbero completamente cambiate. Il suono della campanella alle 08,15 del mio liceo, l’Enrico Fermi di Catanzaro Lido, era sempre lo stesso. Seduti nei nostri banchi, ascoltavamo le lezioni. Tutto era nella norma. Alle 11,00 suonava la ricreazione, andavamo giù in cortile per bere un caffè tutti insieme. Alle 13,15, l’ultima campanella. Salutavo la signora Annarita ed uscivo. Quella campanella però non voleva suonare, non voleva mandarli a casa tutti quegli studenti. Li voleva lì, in quelle “quattro mura”. Da quel giorno nessun alunno è più entrato a scuola, da quel giorno i nostri compagni di classe non sono e non saranno più i compagni di merenda, da quel giorno tutto è cambiato. L’8 marzo è stato l’ultimo mio giorno di libertà, poi il nulla. Anzi, poi il caos. L’Italia è colpita dalla pandemia, tutto chiude e noi obbligati a restare a casa. La confusione ha fatto da padrona, l’incertezza ha regnato e la paura era insita in noi.

Ma l’istituzione per noi più importante, la base della società, la scuola, non poteva fermarsi. Essa doveva e deve andare avanti, in un modo o in un altro. Certo, non è più come prima. Subentra la didattica a distanza (DAD), un modo – l’unico – che permetteva e permette di non perdere la continuità delle lezioni, il susseguirsi delle valutazioni ed i rapporti “docente/alunno”. Ed invece, cosa si perde? L’empatia, la voglia di apprendere e lo stare insieme. Lezioni lunghe prive di sentimento, senza quell’andare oltre la lezione del giorno, che, nella maggior parte dei casi, tra due anni mai più ricorderemo, parliamoci chiaro, non facciamo gli ipocriti. Abbiamo perso quella voglia di scuola, quella voglia di apprendere, di sapere sempre di più. Dietro uno schermo la lezione è grigia, questa è la dura verità. Il professore spiega ed i fortunati ascoltano. Si, i fortunati. Perché chi ha poca connessione, chi ha più dispositivi in una casa collegati, la lezione non la può seguire. Chiude tutto ed accende la playstation, e se va bene studia autonomamente. Abbiamo perso il concetto di classe, che è davvero difficile da costruire. Tanti anni per poi separarci, lunghi anni per poi vederci in tanti quadratini da uno schermo. Maledetta pandemia.

Sono cambiate anche le interrogazioni, che risate! C’è chi pensa che siano vere e che addirittura qualcuno con la DAD sia migliorato. Falsità. La DAD premia chi non ha voglia di fare nulla. In una pagina il professore, nell’altra i nostri appunti. Ma nessuno prende in giro nessuno, i professori lo sanno. Nessuno ha colpa, neanche i docenti, probabilmente sotto questo punto di vista sono i più colpiti. Possono solo stringere le spalle e sperare che a gennaio si torni in aula.

E chi, proprio come me, è un maturando?  Chi affronterà la notte prima degli esami, fino a gennaio affronterà solo uno schermo ed i compiti assegnati nel primo pomeriggio. Purtroppo chi di dovere non ha ben capito quanto ridicola sia questa situazione ed ha ben pensato di fissare per il 16 giugno 2021 la prima prova. Una follia. Se non fosse per noi, che vogliamo veramente studiare e diplomarci, alla commissione d’esame (che si spera sia interna) potremmo dire poco del programma. Ma saremo sicuramente preparati a descrivere nei minimi particolati ogni singola stanza delle case dei docenti. Questo si. La DAD è questo. La scuola che entra nelle nostre case, e che a volte quasi prepotentemente pretende di visitarle. Perché il genio di turno esiste. Quel professore che non vuole sentire rumori non nella stanza, ma nella casa. Quindi se qualcuno dovesse avere un fratellino molto piccolo dovrebbe imbavagliarlo, secondo qualche piccolezza umana. Che tristezza alcune categorie di “professori”. Loro 18 ore a settimana davanti ad un computer più alcune ore del pomeriggio, e dicono di essere stanchi come se avessero portato le pecore a pascolare. Noi, studenti, 30 ore a settimana incollati ad uno schermo più le ore pomeridiane per lo studio, e se ci azzardiamo a dire che siamo stanchi o che non siamo ben preparati sono guai. Ma per fortuna, non tutti sono così. Io ho incontrato l’altra categoria di docenti, sono fortunato. Sarà che capiscono, o sarà che prima di essere professori sono genitori e che riescono ad immedesimarsi.

Dunque, un augurio in primis va a me, alla mia classe, ai miei compagni ed a tutti i maturandi. Non sarà facile, non sarà come la sognavamo. Io non so dove e con chi canterò “notte prima degli esami”, so solo che quella notte me la ricorderò, come so che nessuno mai mi ridarà la possibilità di vivere l’esperienza della “gita di quinto” perché si chiama così, “viaggio d’istruzione”. Ma studiamo, studiate, vogliate bene ai professori (non a tutti): i limiti non a tutti serviranno, della magnificenza di alcune opere leopardiane ce ne dimenticheremo tra non più di due o tre anni (per chi le ha studiate), Nitzsche per chi non studierà filosofia sarà solo un ricordo.

Ma un consiglio di un professore, una carezza, una parola di supporto non si dimentica. Non c’è voto che tenga, non c’è la sufficienza o il 10 difronte alla maestosità dei rapporti umani. E questi non ce li toglierete, mai.

Riccardo Montanaro – Rappresentante Studenti IIS Fermi Catanzaro Lido

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