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Il tempo è un dono. Fin dal principio sono gli interventi di Dio a ordinare il tempo, a scandire il ritmo e a determinarne la qualità. La sua trama misteriosa è l’amore. Il tempo può essere vissuto come grazia liberante perché amorevolmente iniziato da una Voce che pone fine al caos e crea un cosmo armonioso, bello e buono. A noi che ora soffriamo l’inquietudine di questo tempo, di questa condizione di emergenza, di questa atmosfera “rarefatta”, di questo vuoto incolmabile giunge un nuovo “vagito”, il pianto di un Bambino che viene e nasce ancora, nonostante il rimodulare del nostro modo di vivere: il rapporto con noi stessi e con gli altri, con il creato, con le cose, con le nostre feste, con l’approssimarsi del Natale. Il Natale ritorna nonostante il Covid-19, con il suo carico di emozioni, con i suoi riti, le sue luci, i suoi colori. Il tempo non si ferma, scorre inevitabilmente. Da più parti si dice che “dobbiamo salvare il Natale”, riferendosi alla necessità di invertire il trend negativo dei consumi. Ma quello che accade ci sfida a riconoscere che forse abbiamo bisogno di essere salvati noi dal Natale, di aprire il cuore al Dio che si è fatto compagno di strada dell’umana fragilità, abbracciandola con un Amore più grande di quello che l’uomo è capace di produrre. Sarà un Natale di “piccole” cose, di cose “vere”, di cose “essenziali”. Un Natale non di abbracci ma di sguardi, di mani giunte e di regali significativi. Anche quest’anno nelle nostre case e – mi auguro anche nelle nostre chiese – sarà intonato il Tu scendi dalle stelle, ma ogni parola del canto avrà un sapore diverso: il sapore della “speranza”, il sapore dell’”attesa”, il sapore della “fragilità”, il sapore della “carità”. Mangeremo cibi deliziosi, cibi che avranno il gusto della “frugalità”, il gusto della “gioia vera”, il gusto della “consolazione”. Saremo chiamati, quest’anno molto di più, a vivere in famiglia la tradizionale preparazione del presepe, lontani dall’ ultima corsa ai regali; ci faremo un bel grande regalo se ricostruiremo e contempleremo “quella notte” in cui tutto ebbe inizio, “quella notte” in cui il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; “quella notte” che si fa spazio nelle nostre notti e quest’anno desidera più che mai entrare nelle nostre case e portare luce, la luce del “perdono”, la luce della “tolleranza”, la luce del “servizio”. Al tuo nemico, perdona; al tuo avversario, offri tolleranza; a un amico, offri il tuo cuore; a un cliente, il tuo servizio; a tutti, dona la carità; a ogni bambino, rendi un buon esempio. A te stesso, offri rispetto” (Oren Arnold). Ecco il mistero dell’Incarnazione, che ogni giorno si può rivivere nell’esistenza quotidiana: Dio assumendo l’umana condizione è stato capace di vincere ogni distanziamento e farsi prossimo all’uomo incappato nelle mani del potente di turno. Un’umanità provata ma viva che non può fare altro che abbandonarsi al mistero, cercare la Verità e la Vita nella luce di una stalla, tenue ma molto più luminosa di ogni illusione umana, e scaldarsi al fuoco della Speranza. Ed è su quella luce che, in questo Natale, fisso il mio cuore. E da lì, si riparte!

Don Raffaele Zaffino

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