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Marzo 2020 – Marzo 2021. Dopo diversi decenni, di schizofrenica velocizzazione delle vite umane, orientate all’ordine imperioso del “discorso del capitalista” (come avrebbe detto lo psicanalista Jaques Lacan), il mondo occidentale si è trovato costretto ad entrare in un paradigma del tutto nuovo: “il lockdown”. Per tutti o quasi. Ogni governo nazionale, ha selezionato di fretta, alcune prassi da seguire e le ha lasciate scivolare in modo “autorevolmente autoritario” nella vita dei cittadini. Un virus sconosciuto, invisibile, non controllabile si è piantato in modo stabile nella vita moderna e ne ha riformattato tutti i presupposti (o quasi). Nessuna possibilità euforica, ottimizzante, efficientistica e “liquida” (nel senso baumaniano del termine), è sembrata essere più applicabile, praticabile e seguibile. Ciò che prima, sembrava essere la normale, stanca, “apparentemente libera”, patologicamente euforica e superficiale vita dell’occidentale medio, ha subito una mutazione traumatica.  Dalla legge dispotica e disumanizzante di un mercato orientato quotidianamente alla lenta ed inesorabile trasformazione del cittadino (in consumatore frenetico di beni, servizi e “persone”),  affamato quotidianamente da una fame di “libertà confezionata e fittizia” indotta dalle agenzie educative e formative (social, tv, modelli di scolarizzazione, cultura etc.), si è passati ad una legge, altrettanto dispotica, di un governo globale, apparentemente unito per lottare contro un virus sconosciuto, microscopico, non controllabile, non gestibile, non innestabile nel processo di “fittizia libertà” prodotta e sapientemente confezionata nei decenni, dal sistema globalizzante e dai suoi portavoce (mi viene in mente, un pensiero del sociologo Herbert Marcuse che qualche decennio addietro si chiedeva se fosse mai possibile tracciare una vera distinzione tra i mezzi di comunicazione di massa come strumenti di informazione e di divertimento o come agenti di manipolazione e di indottrinamento).
Cambiamento radicale di paradigma. Passaggio dalla narrazione superficialmente euforica o “pseudo euforica”, alla narrazione terrorizzante del bisogno di blocco, di limite, di contenimento estremo dell’espressione della libertà personale, in nome della tutela della propria e dell’altrui salute.
Un messaggio chiaro e drammaticamente concreto, trapiantato senza una strategia evoluta da un punto di vista comunicativo, nelle menti volutamente massificate nei decenni, di uomini e donne, anestetizzate dalla nenia ipnotica, falsa e delirante del non-limite, della corsa “egoica” e fiduciosa verso un miglioramento costante ed infinito, messaggio dunque difficilmente digeribile ai più, non certo per indisciplina, ma per “analfabetismo” appreso nei decenni, in merito alla capacità di fare esame di realtà e di riconoscersi “naturalmente e sanamente” portatori di limiti (il processo di “narcisizzazione egoistica” ed isolamento dei singoli era già cominciato da decenni e comunque da prima della solidificazione del concetto di distanziamento fisico) e tra tutti i limiti, anche di quello principale, dal quale derivano tutti gli altri: la morte.
Buona fede o mala fede? Il senso di colpa, molto spesso stimolato dai media verso i cittadini è giustificabile nel caso in cui dessimo per buona la tesi sopra esposta?
Se per decenni, la spinta è stata verso il non limite, verso un’incapacità diffusa alla relazione ed al riconoscimento del proprio bisogno profondo (vivere in un modo sostenibile e naturale, dignità, equilibrio, relazioni autentiche etc.) e di quello dell’altro da me, possiamo adesso condannare chi non è in grado di contenersi, rispetto alle restrizioni? (sarebbe come chiedere ad un bambino, di progettare un motore di un’auto).
Come può sentirsi un bambino che vede messo in punizione, per non essere riuscito a sostenere il peso “neocorticale” della richiesta di progettazione di un motore di auto?
Perso, triste, depresso, senza più autostima, non in grado di comprendere come può essere utile.
Violentato. Di fronte ad una violenza (proclamata come educativa ed orientata ad un bene superiore), molto spesso, a livello psicologico il bambino si adatta. Si modella e si ricolloca, posizionandosi in un nuovo equilibrio (per quanto non compreso e frustrante) che lo riporta ad una sorta di nuova identità utile al sistema in cui vive.
Il virus ci ha donato un’occasione. Fermarci per riflettere. Per aprire nuovi spazi dalla base. Per trovare il tempo di costruire nuove narrazioni, opportune, umanizzanti e creative per un’umanità che soffre da decenni, di disumanità e solitudine. Tutto questo non arriverà mai dall’alto.
Se provassimo a guardare oltre, con occhi maggiormente spirituali, potremmo osservare in questa fase, il “pianto del Mondo”.
Potremmo osservare le lacrime di chi ha perso i familiari a causa del virus,  ma anche degli altri milioni che vedono i loro familiari morire per altro, la sofferenza degli ammalati di Covid e dei tanti altri milioni, ammalati di altre patologie. Potremmo osservare la sofferenza di miliardi di persone, prese in giro per decenni sul concetto del non-limite ed ora non strutturate ed attrezzate per accettare il limite. Giovani, ai quali dal nulla è stata tolta anche l’ultima narrazione falsata, alla quale si ancoravano per avere un minimo di “pace filosofica”: la narrazione della “libertà superficiale e liquida”.
“Vuote angosce”, come direbbe Francesco Guccini: “vite senza senso, come un mare senza vento!”.
Nelle mie precedenti parole, vi è il preciso intento di provocare, forse confondere il lettore. Non vi è nessuna pretesa di elaborazione sociologica ed oggettiva. L’intento è di dare il permesso all’anima di esprimersi. Di cantare qualcosa, usando il proprio linguaggio.
Siamo già impauriti per tante cose, incastrati in molti schemi e tristemente osservo, come il dibattito su queste e altre questioni (pensiamo ai social o alla tv), stia degenerando nei classici processi dicotomici (bisogna per forza scegliere se collocarsi tra negazionisti o catastrofisti!). Bisogna, per forza di cose uniformarsi ad un pensiero dogmatico e fideistico, utile nella libertà della scelta, soltanto alla collocazione in un percorso di fede religiosa e non certo utile ad un approccio scientifico sulla questione “Covid”.
Mi piacerebbe vedere meno “virologi star” in tv. Mi piacerebbe vedere meno annunci profetici da parte degli esperti, su come saranno le nostre vite, da qui ad un mese. Mi piacerebbe vedere una scienza “libera” di confrontarsi internamente e di avere il coraggio di riposizionarsi nella posizione del dubbio e perché no, in alcuni casi anche nell’accettazione dell’errore.
Mi piacerebbe vedere cambiamenti di paradigmi nella gestione della sanità pubblica. Stimoli nuovi. Politici in grado di dire con certezza che dopo tutto ciò (ammesso che tutto ciò avrà un termine), non ci verrà chiesto ancora più di prima, di aderire a quei paradigmi “liquidi” e disumanizzanti dell’efficienza e dell’efficacia a tutti i costi, dell’adattamento alla robotizzazione dei processi produttivi, con la scusa della crisi economica pesantissima. Mi piacerebbe che venisse affermato che i nostri artigiani, i nostri imprenditori, i fragili, i malati, i giovani, l’anima del Paese, il nostro genio creativo, non finiranno fagocitati da lobby internazionali che tenderanno a riepilogare in modo riduttivo ed omologante la nostra identità e libertà.
Mi piacerebbe sentir dire che la “Scuola”, cercherà di colmare gli apprendimenti “emotivi”, “relazionali” e non soltanto quelli tecnologici dei nostri ragazzi.
Mi piacerebbe che comprendessimo che a prescindere dalla gravità del virus e dell’emergenza sanitaria, a prescindere dalle restrizioni, alcune dinamiche ci stanno spingendo verso un’ulteriore “primitivizzazione” del nostro cervello (alcuni studi neuroscientifici, mostrano, come a distanza di un anno, alcune aree del cervello deputate alla relazione ed alla capacità empatica, si stiano assottigliando in modo evidente).
Mi piacerebbe che all’interno di ognuno di noi, venisse riscoperto un pensiero largo e sedimentato, critico forse. Mi piacerebbe che venisse riscoperta in noi, una scintilla di fuoco interiore e creativo, in grado di orientarci alla fiducia, all’empatia, alla solidarietà ed alla creatività, in modo autonomo e non obbligato da sistemi sovra nazionali che, in un modo o nell’altro, spingono verso processi massificanti.
Mi piacerebbe, rivedere nel mio Paese e negli altri, una spinta nuova ad un “rinascimento” dalla base. Una base umana, a prescindere dalle diverse identità, in grado nuovamente di valorizzare la salute e la libertà nei limiti del possibile.
Riacquisire consapevolezza, di come già da prima della pandemia, non avessimo in mano la libertà e la coscienza della dignità nostra e degli altri.
Mi piacerebbe vedere maggiore attenzione, nel 2021 verso la dignità del “morire” e ricordarsi di migliaia di anziani, morti da soli, in un letto di ospedale.
Mi piacerebbe, vedere riaffermato, il paradigma della vita “zōē” (vita intesa come dono a prescindere dall’ambito biologico) e non solo la tutela della vita “bíos” (intesa come terrena ed ancorata al tempo).
Che cosa è la libertà? Dal mio punto di vista la libertà umana è imprescindibilmente ancorata al concetto di dignità (non solamente vista come tutela della vita fisica).
L’Organizzazione mondiale della Sanità definisce e specifica la Salute come: “uno stato di benessere, volto a un globale benessere fisico, mentale, psicologico, emotivo e sociale”.
La salute è vista pertanto, in modo olistico e non parziale. Siamo così sicuri che in questa fase storica, si stia con tutte le forze lavorando per tutelare oltre alla salute, anche parallelamente l’aspetto mentale, emotivo e sociale (la salute è vista pertanto anche come autonomia e libertà dell’individuo)?
Secondo la mia modesta “osservazione sociologica”, la risposta è negativa. Assolutamente negativa.
Non mi sento intellettualmente e da un punto di vista etico, in grado di accettare le obiezioni che nel 2021  di solito sento fare e che si appellano alla falsa e forzata dicotomia tra la scelta della tutela della salute collettiva con la scelta della libertà e dignità delle persone.
Siamo così sicuri che non vi era la possibilità, nei mesi successivi alla prima ondata, di unire i vertici, le risorse, la creatività, la scienza per gestire questi tempi con un taglio antropologicamente diverso? Gli stati, non avrebbero potuto, fermarsi un secondo e mettere in discussione debiti accumulati, politiche economiche, multinazionali farmaceutiche private che in modo assolutamente sacrosanto, sono interessate ad avere profitto sulla salute di tutti? Non ci si potrebbe fermare un attimo e trovare soluzioni diverse? Ad esempio, come mai nessun governo si è proposto di promulgare leggi, decreti o dpcm per obbligare le multinazionali alimentari ad eliminare una volta per tutte dai loro prodotti, sostanze altamente tossiche e stimolanti molte patologie croniche che rendono il sistema immunitario più attaccabile dal “Covid” e che a prescindere dal virus, mietono ogni anno la vita di milioni di persone? Mi si obietterà dicendo che ogni cittadino è “libero” di acquistare o meno quei prodotti, allo stesso modo, risponderei che ogni cittadino sarebbe stato pertanto, libero di decidere di morire a 80 anni, a fianco dei suoi familiari e che la “tecnica” dovrebbe trovare sistemi per tutelare questa “libertà” di morire in modo sano a livello socio-psicologico e nello stesso tempo tutelare la salute collettiva. La definizione dell’OMS è esplicita. Concepisce ogni area costitutiva dell’individuo, come bisognosa di salute.
La libertà e la salute, vanno di pari passo con la dignità dell’essere umano. Non sono concetti opposti.
La psiconeuroendocrinoimmunologia (disciplina che si occupa di studiare il legame che vi è tra malattia fisica e funzionamento cognitivo-emozionale), ha mostrato da anni, quanto la libertà di viversi relazioni, affetti, hobby e talenti creativi in modo dignitoso, inneschi dei circoli virtuosi a livello neuroendocrinoimmunitario, in grado di rinforzare la capacità del nostro organismo, rispetto alla malattia. In molti casi di prevenirla.
Siamo sicuri che il main-stream (buona fede o mala fede?), in tutti questi mesi, ci abbia proposto un concetto evoluto e maturo di prevenzione? Siamo sicuri che in modo attivo, i cittadini, siano stati coinvolti nel collaborare per tutelare la salute di tutti? Mi si obietterà, dicendomi che “gli italiani”, sono ostili al mantenimento delle regole, in modo autonomo e nonostante ciò, risponderei che l’Italia ha da sempre mostrato uno scatto di orgoglio, proprio nei periodi di maggiore sofferenza. Siamo sicuri che la strategia di comunicazione sia stata la migliore? Quanti di noi, in questi mesi, hanno constatato un ridimensionamento dei programmi spazzatura e dei talk show (falsamente informativi) per lasciare il posto a programmi orientati all’evoluzione delle persone, al mantenimento di stili di vita sani, all’incuriosirsi nuovamente verso la cultura, la ricerca, l’approfondimento autentico della bellezza di noi stessi, dell’altro da noi e del mondo? Quanto ci hanno stimolato nella fiducia e nelle possibilità di libertà (dignitosa) per il futuro?
Per nulla o quasi è avvenuto tutto questo. Leggo tra le righe della mia immaginazione sociologica, una sorta di filo rosso che accomuna i nostri tempi (da prima del Covid) e che spinge oltre ogni naturale e dignitosa possibile libertà di sognare un futuro possibile, verso una regressione antropologica e massificata dell’essere umano moderno.
La buona notizia è che la libertà individuale e collettiva, corrisponde (almeno parzialmente) dal mio punto di vista anche al concetto di salute dell’OMS.
La buona notizia è che la libertà, intesa come stampo profondo di ogni essere umano, appartiene innanzitutto al mondo interiore, all’anima.
Nessuna restrizione, problematica fisica o sociale, potrà mai rubarla. Sono stato sempre ispirato dal fondatore della Logoterapia, Viktor Frankl, che visse per anni in un campo di concentramento, impedendosi di regredire e mantenendosi “individuo significante”, nonostante tutto.
Montesquieu definiva la libertà, come quel bene, in grado di farti godere di ogni altro bene.
Agli individui ed alla collettività, il compito faticoso, di riappropriarsene attraverso delle scelte umane, etiche e consapevoli, giorno per giorno.
A prescindere, dagli eventi storici e sociali esterni.

Giuseppe Bianco – Sociologo e Docente

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