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Dovremmo imparare a guardare il mare con gli stessi occhi scrupolosi di una nonna che, nell’increspatura di ogni ruga, ha conosciuto il buono e il cattivo tempo di quelle acque. Seduta su una sediòla di legno, a un passo dalla riva, con le gambe gonfie a mollo e una mano stanca che, di tanto in tanto, accarezza le onde. Una nonna sa contemplare il mare leggendovi dentro la bellezza, le risorse e, al contempo, i pericoli nascosti.

“Il mare dà, il mare toglie”, tramandano gli antichi. E in questa lotta intestina tra dare e avere, spetta a ciascuno di noi riscoprire il mosaico di interpretazioni racchiuso lungo le nostre coste.

Il mare è una fonte battesimale che purifica i complotti interiori. Il mare è una manciata di sale che ha provocato il bruciore di una ferita, con il solo intento di cicatrizzarla. È la quiete di un porto commerciale, l’operosità di barchette di pescatori ancorate in rada, è una notte di falò che rassicura il cuore, un carico di pesci pronto a sfamare.

Ogni paese o città che ha la fortuna di affacciarsi sul mare porta cucito addosso un distintivo di potenziale ricchezza. Lo sa bene l’Italia, con i suoi quasi 8.000 chilometri di costa. Le marine diventano richiamo per i turisti provenienti da ogni dove e permettono all’economia locale di iniziare i migliori giri di giostra.

Gli stabilimenti balneari rinascono ogni estate, puntuali, insieme ai campeggi e alle strutture ricettive. Il mare è il primo squillo di tromba nella parata delle attrazioni turistiche. Ristoranti e bar con viste mozzafiato costruiti come palafitte, con l’odore perenne di frittura di paranza tra i vicoli. Lungomari che diventano passerelle di moda per i corpi abbronzati. Cortei di biciclette, tornei sportivi sulla sabbia, gite sull’acqua alla scoperta di grotte e scogliere. La processione di una Madonna su una barca richiama tradizioni antiche e incursioni culturali. I sentieri naturalistici guidano i camminatori in un tripudio di flora e fauna. Il centro storico rivive negli occhi meravigliati dei turisti e permette all’orgoglio degli autoctoni di risorgere.

Quella nonna accovacciata sulla riva lo sa bene che il mare è turismo, è cultura, è fama. Lei, però, ha conosciuto anche un’altra faccia, quella minacciosa e senza pietà: le insidie del mare che tutti noi, il più delle volte, ignoriamo o sottovalutiamo. È il mare che ha inghiottito uomini senza risputarli a riva. È il morto a galla di chi si allontana dalla battigia e poi – in preda alla stanchezza o a causa di improvvise correnti – non riesce più a tornare. Super Santos finiti troppo al largo, bandiere rosse ignorate, genitori e bambinaie non del tutto attenti, fischietti di bagnini sottovalutati.

È il mare fatto di scogli non sempre accoglienti, di ricci che si attaccano ai piedi per limitarne i passi, di meduse o tracine che rivendicano il loro habitat naturale.

È quel volto del mare senza protezione solare, sottoposto a un’esposizione intensa e prolungata alle radiazioni di un sole ritenuto troppo amico e mai insidioso. Anche quando a pancia piena o dopo avere bevuto bibite ghiacciate, sfidiamo il nostro ego tra tuffi e apnee, per convincere noi stessi – e chi ci guarda da sotto l’ombrellone – che siamo esseri invincibili. Eppure gli sbalzi termici non regalano alcun trofeo. Troppo impegnati a essere Ulisse, dimentichiamo come possa risultare ingannevole il canto di una sirena.

Non sia un rimprovero, né un’esortazione a temere il mare e nemmeno un invito all’ansia. Quando ci sentiremo sconfinati e inarrestabili come le onde, però, ripensiamo a quella nonna che guarda l’acqua e ne racconta fortune e avversità. Ricordiamoci sempre che il mare è una rete: a volte ci culla dolcemente come un’amaca, altre volte ci rende prigionieri come pesci.

Marco Angilletti

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